Legge Reati ambientali e piccola rassegna di recente giurisprudenza
Rassegna del 21.05.2015
Legislazione
Reati ambientali: la legge definitivamente approvata
Disegno di legge, 19/05/2015 n° 1345
Pubblicato il 21/05/2015
Con un ampio consenso sul testo (170 sì, 20 no e 21 astenuti), il 19 maggio 2015 il Senato ha approvato la riforma dei reati ambientali con l’obiettivo di garantire un netto salto di qualità nella protezione della salute e dei beni naturali. Detta riforma ha determinato un tripudio delle forze politiche tanto che, da taluni è stato affermato: Dopo 21 anni, gli eco-reati entrano finalmente nel codice penale: eco-giustizia è fatta”.
Ecco le principali novità:
Il d.d.l. 1345-B introduce nel codice penale un nuovo titolo dedicato ai “Delitti contro l’ambiente” (Libro II, Titolo VI-bis, artt. 452-bis-452-terdecies), all’interno del quale sono previste le nuove fattispecie di:
- inquinamento ambientale;
- disastro ambientale;
- traffico ed abbandono di materiale radioattivo;
- impedimento di controllo;
- omessa bonifica.
Inquinamento ambientale e disastro ambientale rappresentano i cardini del sistema e risultano puniti rispettivamente con pene detentive che vanno da un minimo di 2 ad un massimo di 6 anni l’inquinamento, mentre il disastro sanziona la condotta tipica con la reclusione da 5 a 15 anni. Prevista inoltre la pena accessoria della incapacità di contrattare con la P.a. per le fattispecie di: inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico ed abbandono di materiale radioattivo, impedimento di controllo e traffico illecito di rifiuti (quest’ultimo già previsto all’interno del Codice dell’Ambiente). Si interviene anche suitermini prescrizionali i quali subiscono un allungamento in relazione all’aggravarsi della fattispecie.
Introdotta la confisca obbligatoria, anche per equivalente, delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto del reato o che servirono a commetterlo, anche per il delitto di traffico illecito di rifiuti. Tale misura risulta tuttavia esclusa ove l’imputato abbia provveduto alla messa in sicurezza e, ove necessario, alla bonifica e al ripristino dello stato dei luoghi, nonché nel caso in cui detti beni appartengano a terzi estranei al reato. Per taluni illeciti quali il disastro ambientale, l’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti e per l’ipotesi aggravata di associazione per delinquere, la nuova legge introduce anche la confisca quale misura di prevenzione dei valori ingiustificati o sproporzionati rispetto al proprio reddito. Previsto altresì che, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena, il Giudice debba ordinare anche il recupero e, se tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi, ponendo i costi a carico del condannato e delle persone giuridiche obbligate al pagamento delle pene pecuniarie in caso di insolvibilità del primo.
Significativo infine l’intervento in tema di ravvedimento operoso. Quest’ultimo, originariamente previsto come causa di non punibilità, ad oggi opera come circostanza di attenuazione della pena – dalla metà a due terzi, ovvero da un terzo alla metà – in favore di chi, rispettivamente, prima della dichiarazione di apertura di apertura del dibattimento di primo grado, eviti che l’attività illecita sia portata a conseguenze ulteriori, provveda alla messa in sicurezza, alla bonifica o al ripristino dello stato dei luoghi; ovvero collabori concretamente con l’Autorità di Polizia o Giudiziaria alla ricostruzione dei fatti e all’individuazione dei colpevoli.
Giurisprudenza
L’assicurazione non copre i danni causati dall’automobilista ubriaco
Ad avviso dei Supremi giudici (Cass. Civ., 11 maggio 2015, n. 9448) la garanzia assicurativa è inoperante e non si estende ai rischi che il beneficiario provoca volontariamente e con colpa grave. Il principio risulta valido anche nell’ipotesi in cui la condotta dell’assicurato non sia stata la causa unica del verificarsi dell’evento dannoso. (Cass. Civ., Sez. VI, Ord., 11 maggio 2015, n. 9448)
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Il lavoratore cancella tutti i files del computer e la posta eletronnica? Legittimo il licenziamento.
Deve ritenersi legittimo il licenziamento intimato per giusta causa dal datore di lavoro ad un lavoratore responsabile di aver cancellato tutti i documenti di lavoro dal suo computer ivi compresa la corrispondenza elettronica. Tale il principio che può evincersi da una sentenza del 14 maggio 2015, n. 9900 della Suprema Corte che, nel rigettare il ricorso proposto dal prestatore di lavoro, ha così confermato la decisione della corte distrettuale oggetto di impugnazione. (Cass. Civ., Sez. Lav., 14 maggio 2015, n. 9900)
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Sostituto processuale e costituzione di parte civile
Corte di Cassazione, sezione VI Penale
Sentenza 7 – 19 gennaio 2015, n. 2329
Presidente Conti – Relatore Citterio
La Corte di Cassazione, con la sentenza che di seguito si riporta, ha esaminato un caso di violazione degli obblighi di assistenza familiare ma la decisione in commento ha permesso agli ermellini di ribadire un importante principio relativo alla costituzione di parte civile da parte del sostituto processuale, infatti, gli hanno affermato che il sostituto è legittimato alla difesa tecnica della parte processuale ma non alla sua costituzione ove non lo sia espressamente previsto nella nomina che è stata fatta al difensore.
Dopo che il Tribunale e la Corte d’Appello hanno confermato la responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’articolo 570 del c.p. l’uomo, si rivolge alla Cassazione deducendo che la persona offesa, che riconosce pienamente legittimata all’esercizio dell’azione civile, si è tuttavia costituita in primo grado con modalità illegittime, perché in concreto l’atto di costituzione e la pertinente necessaria procura speciale sono stati depositati in udienza da un sostituto del difensore-procuratore speciale, tuttavia non abilitato dai termini in cui concretamente la procura speciale per la costituzione era stata conferita al titolare della difesa tecnica.
Per l’imputato dunque, la Corte d’appello ha sbagliato affermando l’inammissibilità della questione nel giudizio di impugnazione, con la conseguente inammissibilità del motivo, sovrapponendo due aspetti del tutto differenti: la legittimazione processuale e le concrete modalità di esercizio del corrispondente diritto.
Per i giudici di Piazza Cavour il ricorso è fondato. Secondo il consolidato principio di diritto il sostituto processuale infatti “è legittimato alla difesa tecnica ma non alla costituzione di parte civile nel processo, quando la procura speciale che ha attribuito al difensore, insieme con la nomina a difensore tecnico (ex art.100 cod.proc.pen.), pure i poteri dispositivi relativi al diritto in contesa propri della parte (artt. 76 e 122 cod.proc.pen.) non lo preveda espressamente (Sez.6 sent. 33228 del 14.5.2014, dep. 28.7.2014; Sez. 5, sent. 19548 del 3.2.2010, dep. 24.5.2010)“
La Corte nella decisione in esame ha richiamato la sentenza delle S.U. n. 12 del 19.5.1999, dep. 13.7.1999, Pediconi in cui veniva chiarito che “mentre l’ordinanza dibattimentale di (positiva) esclusione della parte civile è sempre e definitivamente inoppugnabile, quella di inammissibilità o rigetto della richiesta di esclusione è impugnabile da parte dell’imputato, unitamente all’impugnazione della sentenza“.
L’imputato – che è parte fisiologica e necessaria del processo – ha un permanente interesse a contrastare decisioni in ipotesi erronee che hanno un’immediata incidenza sul capo della decisione afferente le questioni civili pertinenti al fatto di reato per cui si procede e sul punto le Sezioni Unite hanno precisato che «4.5 L’interpretazione letterale e quella logico-sistematica si saldano pertanto a favore della soluzione più liberale, nel senso che la stabilità decisoria dell’ordinanza dibattimentale ammissiva della parte civile (…) deve ritenersi in ogni caso provvisoria, “allo stato degli atti’; idonea perciò a giustificare una limitata preclusione endoprocessuale, la cui ratio è quella di garantire, in base ad intuitive esigenze di economia processuale, l’ordinato e progressivo svolgimento del giudizio in presenza di una parte eventuale, senza l’instaurazione di fasi incidentali produttive di stasi nel processo penale. È viceversa consentito, con la sentenza di merito soggetta a sua volta agli ordinari mezzi di gravame, il controllo da parte del giudice dei presupposti di legittimità formale e sostanziale per l’esercizio dell’azione civile nel processo penale – sia la legitimatio ad causam, sia la legítimatio ad processum, sia l’osservanza delle formalità e dei termini prescritti dalla legge a pena d’inammissibilità – e per il conseguente riconoscimento del “diritto” della parte civile al risarcimento del danno».
Pertanto, conclude la Corte stabilendo che “il motivo attiene a questione di mero diritto e poggia su un assunto in fatto (la dichiarazione di costituzione di parte civile è avvenuta ad opera di un sostituto del soggetto nominato procuratore speciale senza che tale sostituzione fosse stata espressamente prevista e autorizzata e senza che la persona offesa interessata fosse fisicamente presente) che va ritenuto acquisito al processo; il motivo che chiede l’esclusione della parte civile è pertanto ammissibile e fondato; tale fondatezza, afferendo questione di diritto in contesto di fatto che non necessita di ulteriori approfondimenti, può essere direttamente rilevata da questa Corte di legittimità, che ai sensi dell’art. 620 lett. L) cod.proc.pen. può dare i provvedimenti necessari: consegue l’annullamento senza rinvio del punto della decisione delle due sentenze di merito relativo alle statuizioni civili, con la conseguente eliminazione delle pertinenti statuizioni“
Testo sentenza, sostituto processuale, parte civile, costituzione
Corte di Cassazione, sezione VI Penale
Sentenza 7 – 19 gennaio 2015, n. 2329
Presidente Conti – Relatore Citterio
Considerato in diritto
- Avverso la sentenza con cui in data 3-11.4.2014 la Corte d’appello di Campobasso ha confermato l’affermazione della sua responsabilità ai fini penali e civili, deliberata dal Tribunale di Larino il 15.12.10 per reato ex art. 570 cod.pen. in danno della moglie, solo concedendogli la sospensione condizionale della pena, ricorre N.C. a mezzo del difensore, avv. Salvatore Pilone, con unico motivo di erronea applicazione della legge penale ed inosservanza delle norme processuali, in relazione all’omessa esclusione della parte civile.
- II ricorrente deduce che la persona offesa, che riconosce pienamente legittimata all’esercizio dell’azione civile nella fattispecie per cui si procede, si è tuttavia costituita in primo grado con modalità illegittime, perché in concreto l’atto di costituzione e la pertinente necessaria procura speciale sono stati depositati in udienza da un sostituto dei difensore-procuratore speciale, tuttavia non abilitato dai termini in cui concretamente la procura speciale per la costituzione era stata conferita al titolare della difesa tecnica. Quindi, erronea sarebbe stata la risposta della Corte d’appello, che ha affermato l’inammissibilità della questione nel giudizio di impugnazione, con la conseguente inammissibilità del motivo, sovrapponendo due aspetti del tutto differenti: la legittimazione processuale e le concrete modalità di esercizio del corrispondente diritto.
Ragione della decisione
- II ricorso è fondato, nei termini che seguono.
Anche la Corte d’appello conviene con il consolidato principio di diritto secondo il quale il sostituto processuale (nominato ex art. 102 cod.proc.pen. dal difensore titolare della difesa tecnica) è legittimato alla difesa tecnica ma non alla costituzione di parte civile nel processo, quando la procura speciale che ha attribuito al difensore, insieme con la nomina a difensore tecnico (ex art.100 cod.proc.pen.), pure i poteri dispositivi relativi al diritto in contesa propri della parte (artt. 76 e 122 cod.proc.pen.) non lo preveda espressamente (Sez.6 sent. 33228 del 14.5.2014, dep. 28.7.2014; Sez. 5, sent. 19548 del 3.2.2010, dep. 24.5.2010). La Corte distrettuale non ha contraddetto lo specifico assunto dell’imputato che, nel caso concreto, tale specifica ed espressa previsione non era presente, dato che pertanto deve ritenersi acquisito al processo. Dal verbale dell’udienza in cui è avvenuta la dichiarazione di costituzione di parte civile da parte del sostituto risulta che neppure era presente la persona offesa.
- La questione di diritto che il ricorso pone è pertanto quella dell’impugnabilità dell’ordinanza con la quale sia stata rigettata la richiesta di esclusione della parte civile, richiesta fondata non sulla contestazione del suo diritto sostanziale a costituirsi, ma sulle concrete modalità con cui la costituzione in giudizio è intervenuta.
- La Corte d’appello ha ritenuto tale ordinanza non impugnabile, richiamando due pronunce di questa Corte: Sez. 4 sent. 7291 del 21.11.2002, dep. 14.2.2003 e Sez.5 sent. 2071 del 25.11.2008, dep. 20.1.1009, ma pare aver sovrapposto due tematiche diverse: quella della impugnabilità e quella della specificità del motivo di impugnazione (la cui mancanza è per sè causa di inammissibilità di un’impugnazione astrattamente ammissibile).
5.1 Va ricordato che il nostro caso è non quello dell’impugnazione della statuizione positiva dell’esclusione della parte civile, che provenga dalla persona offesa che si era costituita parte civile ed era stata estromessa (Sez.7, ord. 10880 del 11.10.2012, dep. 7.3.2013), bensì quello dell’impugnazione dell’imputato che abbia visto respingere la sua richiesta di esclusione della parte civile che si è costituita.
Proprio la sentenza delle S.U. n. 12 del 19.5.1999, dep. 13.7.1999, Pediconi ha chiarito che mentre l’ordinanza dibattimentale di (positiva) esclusione della parte civile è sempre e definitivamente inoppugnabile, quella di inammissibilità o rigetto della richiesta di esclusione è impugnabile da parte dell’imputato, unitamente all’impugnazione della sentenza.
Questo perché, una volta esclusa nel giudizio di primo grado, la persona offesa che intendeva esercitare l’azione civile nel processo penale non è più parte dello stesso, che infatti si svolge regolarmente in sua assenza, sicché sarebbe sistematicamente del tutto anomala un’impugnazione tardiva. Né la scelta del legislatore di non permettere un’immediata impugnazione dell’ordinanza che abbia deliberato l’esclusione della parte civile si presta a censure di costituzionalità, atteso che la persona offesa può sempre esercitare la propria azione civile nella sede civile, il suo pregiudizio pertanto essendo sostanzialmente di mero fatto. Invece, l’imputato – che è parte fisiologica e necessaria del processo – ha un permanente interesse a contrastare decisioni in ipotesi erronee che hanno un’immediata incidenza sul capo della decisione afferente le questioni civili pertinenti al fatto di reato per cui si procede. Così specificamente sul punto, le richiamate Sezioni unite di questa Corte: «4.5
L’interpretazione letterale e quella logico-sistematica si saldano pertanto a favore della soluzione più liberale, nel senso che la stabilità decisoria dell’ordinanza dibattimentale ammissiva della parte civile (…) deve ritenersi in ogni caso provvisoria, “allo stato degli atti’; idonea perciò a giustificare una limitata preclusione endoprocessuale, la cui ratio è quella di garantire, in base ad intuitive esigenze di economia processuale, l’ordinato e progressivo svolgimento del giudizio in presenza di una parte eventuale, senza l’instaurazione di fasi incidentali produttive di stasi nel processo penale. È viceversa consentito, con la sentenza di merito soggetta a sua volta agli ordinari mezzi di gravame, il controllo da parte del giudice dei presupposti di legittimità formale e sostanziale per l’esercizio dell’azione civile nel processo penale – sia la legitimatio ad causam, sia la legítimatio ad processum, sia l’osservanza delle formalità e dei termini prescritti dalla legge a pena d’inammissibilità – e per il conseguente riconoscimento del “diritto” della parte civile al risarcimento del danno».
5.2 La giurisprudenza di legittimità successiva si è assestata su questo puntuale e chiaro insegnamento: per tutte, Sez.4 sent. 4101 del 6.12.2012, dep. 25.1.2013; Sez.1 sent. 4060 del 8.11.2007, dep. 25.1.2008; Sez.2 sent. 30045 del 12.3.2003, dep. 17.7.2003.
Le due sentenze richiamate dai Giudici d’appello in realtà non paiono contrastare direttamente questo comunque ormai consolidato insegnamento, ma (specialmente la sentenza Sez.5 n. 2071 del 25.11.2008) lo raccordano con i principi generali in tema di specificità dei motivi di impugnazione ai sensi dell’art. 581 cod.proc.pen., in sostanza negando che l’impugnazione da parte dell’imputato dell’ordinanza che ha dichiarato inammissibile o ha rigettato la sua richiesta di esclusione della parte civile, proposta insieme con l’impugnazione della sentenza ex art. 586 cod.proc.pen., possa sottrarsi alle generali regole di ammissibilità e, in particolare, al requisito della specificità dei motivo che, per il ricorso per cassazione, pretende anche l’espresso confronto argomentativo con le risposte date dai Giudici del merito alle medesime richieste (deve anche osservarsi che la sentenza Sez. 4 n. 7291 del 21.11.2002 sul punto non si confronta espressamente con la pure richiamata sentenza Pediconi).
- Tutto ciò premesso, osserva riassuntivamente la Corte che: la statuizione di inammissibilità dell’appello dell’imputato sul punto è errata per le ragioni appena esposte; il motivo attiene a questione di mero diritto e poggia su un assunto in fatto (la dichiarazione di costituzione di parte civile è avvenuta ad opera di un sostituto del soggetto nominato procuratore speciale senza che tale sostituzione fosse stata espressamente prevista e autorizzata e senza che la persona offesa interessata fosse fisicamente presente) che va ritenuto acquisito al processo; il motivo che chiede l’esclusione della parte civile è pertanto ammissibile e fondato; tale fondatezza, afferendo questione di diritto in contesto di fatto che non necessita di ulteriori approfondimenti, può essere direttamente rilevata da questa Corte di legittimità, che ai sensi dell’art. 620 lett. L) cod.proc.pen. può dare i provvedimenti necessari: consegue l’annullamento senza rinvio del punto della decisione delle due sentenze di merito relativo alle statuizioni civili, con la conseguente eliminazione delle pertinenti statuizioni, come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado limitatamente alle statuizioni civili, che elimina.
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Sui limiti della formazione della prova a mezzo di CTU
La CTU non è mezzo di prova ma può diventarlo.
I limiti della CTU ad explorandum.
Cassazione Sentenza n. 9249/2015
Interessante sentenza della Corte di Cassazione (n. 9249 de 07/05/2015) a chiarimento del ruolo della Consulenza Tecnica d’Ufficio in processo civile. Più volte la Corte di Cassazione ha redarguito, con la propria censura, i tentativi di sopperire alla mancanza di prova mediante la richiesta di nomina del consulente tecnico d’ufficio. In questa Rivista si veda, ad esempio, l’articolo “La Corte di Cassazione e i limiti del CTU nella ricerca della prova” ove la Suprema Corte esprime chiaro il concetto con queste parole: “la consulenza tecnica d’ufficio costituisce un mezzo di ausilio per il giudice, volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati dalle parti, la cui interpretazione richiede nozioni tecnico- scientifiche, e non un mezzo di soccorso volto a sopperire all’inerzia delle parti; la stessa, tuttavia può eccezionalmente costituire fonte oggettiva di prova, per accertare quei fatti rilevabili unicamente con l’ausilio di un perito“.
E’ notorio, oramai, come la CTU non posa avere carattere esplorativo e debba essere intesa come strumento ad adiuvandum del giudice e non ad explorandum. Tuttavia la sentenza che qui riportata suggerisce il formarsi di un’eccezione, almeno parziale, alla regola.
Nel caso oggetto dell’esame della Suprema Corte avente ad oggetto una domanda di risarcimento un danno non patrimoniale alla salute, era stata respinta la richiesta di nomina di CTU poiché unica richiesta istruttoria formulata. La corte del merito aveva applicato il generico principio che vuole venga negata la possibilità di sopperire alle proprie necessità probatorie con la richiesta di CTU.
Ma la Corte di Cassazione non ritiene correttamente applicato il principio nel caso di specie, affermando, primariamente, che non si può pretendere che venga provato un danno alla salute per testimoni o con documenti: “Il danno alla salute patito da chi, per errore del medico, perda la certezza o la speranza di guarire; o comunque patisca sofferenze che avrebbe evitato in caso di tempestiva diagnosi, non può certamente essere provato per testimoni, per documenti o per presunzioni“.
Secondo la Corte di Cassazione tenendo conto del fatto che oggetto della domanda era un danno in evoluzione l’attore aveva l’onere di descrivere il danno, ma non di quantificarlo. Accoglie il ricorso e rinvia alla Corte d’Appello chiedendo l’applicazione del “principio secondo cui la consulenza tecnica d’ufficio, che di norma non è mezzo di prova, lo diventa allorchè la prova del danno – come quello alla salute – sia impossibile od estremamente difficile a fornirsi con i mezzi ordinari“.
Di seguito il testo di Corte di Cassazione sentenza n. 9249 del 07/05/2015:
Svolgimento del processo
Nel 1991 B. G. convenne dinanzi al Tribunale di Lucca A.G., di professione medico, adducendo che:
-) nel 1988 si era a lui rivolta per la cura di una affezione cutanea all’alluce;
-) il medico non si era avveduto che la malattia aveva natura tumorale, emersa solo oltre un anno dopo la prima visita;
-) il ritardo diagnostico aveva aggravato la malattia.
Chiese pertanto la condanna del convenuto al risarcimento dei danni patiti in conseguenza del suddetto ritardo diagnostico.
Pendente il giudizio, l’attrice morì a causa del tumore. La causa venne coltivata dai due figli di lei, B.R. e F..
Dopo 14 anni di giudizio, con sentenza 12.12.2005 il Tribunale di Lucca respinse la domanda, ritenendo non provata nè la colpa del medico, nè il nesso di causa tra la sua condotta e la morte della paziente.
La sentenza venne appellata dal solo B.R..
La Corte d’appello di Firenze con sentenza 8.3.2011 n. 326:
– dichiarò che i danni patiti da B.R. in proprio, conseguenti alla morte della madre, erano estranei al thema decidendum;
– ritenne non condivisibile la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva escluso la colpa del convenuto ed il nesso di causa tra la condotta di questi ed il danno;
– rigettò tuttavia ugualmente la domanda di risarcimento, sul presupposto che gli attori (in prosecuzione) non avessero allegato e provato l’entità del danno patito dalla propria madre, in termini di entità e durata.
La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da B.R., sulla base di tre motivi.
Ha resistito con controricorso A.G..
Motivi della decisione
- Il primo ed il secondo motivo di ricorso.
1.1. Il primo ed il secondo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perchè pongono questioni analoghe. .
Con ambedue tali motivi il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all’art. 360 c.p.c., n. 3. Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che gli appellanti, proseguendo il giudizio introdotto dalla propria madre, avessero inteso domandare anche il risarcimento del danno da essi patito in conseguenza della morte di quest’ultima. In realtà essi avevano inteso unicamente domandare il risarcimento del danno patito dalla propria madre, il cui diritto avevano acquistato jure haereditario.
1.2. Ambedue i motivi sono inammissibili per totale fraintendimento della ratio decidendi della sentenza impugnata. .
La Corte d’appello ha infatti affermato proprio il principio che i ricorrenti invocano col ricorso, e cioè che unico oggetto del presente giudizio è l’accertamento del danno patito da B. G. e del relativo diritto al risarcimento, da questa trasmesso ai propri eredi. .
3. Il terzo motivo di ricorso. .
3.1. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all’art. 360 c.p.c., n. 3, (sì assumono violati gli artt. 1226, 2043, 2056 e 2697 c.c.; art. 356 c.p.c.); sia da una nullità processuale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4; sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere “non allegato e non provato” il danno patito da B. G.:
– sia perchè era stata fornita la prova del peggioramento delle condizioni di salute della paziente;
– sia perchè gli attori avevano domandato una consulenza tecnica d’ufficio, mai disposta;
– sia perchè nell’atto d’appello gli attori avevano debitamente domandato il ristoro dell’invalidità patita dalla paziente a causa del ritardo diagnostico. .
3.2. Il motivo è fondato, sia sotto il profilo della nullità processuale, che sotto il profilo del vizio di motivazione.
3.2.1. Quanto al primo aspetto (onere di allegazione), si rileva dall’esame degli atti – consentito dalla natura del vizio denunciato – come sin dal primo atto di giudizio l’attrice avesse debitamente allegato che la ritardata diagnosi della malattia da cui era affetta avesse aggravato il male, e che questo aggravamento costituisse di per sè un danno.
In cosa fosse consistito questo danno è, parimenti, circostanza descritta sia nell’atto di citazione, sia nell’atto di appello. Nè l’odierno ricorrente aveva alcun onere, come preteso dalla Corte d’appello, di indicare “il grado” ed “il tempo” del danno patito da B. G., per due ragioni.
La prima è che chi domanda il risarcimento del danno ha l’onere, a pena di nullità della citazione, di descrivere il danno, non certo di quantificarlo. La quantificazione del danno da parte dell’attore è deduzione utile ma non necessaria, ai fini della validità dell’atto di citazione. Quel che unicamente rileva è che sia descritto l’ubi consistam del danno.
La seconda ragione è che B. G., al momento in cui introdusse il a presente giudizio, era portatrice di una malattia in itinere, e dunque non l’avrebbe potuto prevedere se sarebbe guarita; con quale grado di invalidità e per quanto tempo si sarebbe protratta la malattia.
E’ appena il caso di rilevare, poi, che il giudice il quale ritenga genericamente formulata una domanda di danno non può rigettarla, ma deve dichiarare la nullità della citazione ex 164 c.p.c., fissando all’attore un termine per l’integrazione. .
3.2.2. Quanto al secondo aspetto (onere della prova), il danno di cui l’attrice aveva domandato il risarcimento era un danno non patrimoniale alla salute. Il danno alla salute patito da chi, per errore del medico, perda la certezza o la speranza di guarire; o comunque patisca sofferenze che avrebbe evitato in caso di tempestiva diagnosi, non può certamente essere provato per testimoni, per documenti o per presunzioni. .
La stima di esso, richiedendo nozioni mediche, esige di norma l’ausilio di un consulente tecnico, a meno che il giudice non ritenga di acquisire da sè le cognizioni tecniche per l’accertamento di questo tipo di pregiudizio. Nel caso di specie la Corte d’appello, dopo avere essa stessa ammesso che il danno di cui si discorre può essere provato “tramite l’opera di un consulente tecnico d’ufficio” (così la sentenza, p. 12, ultimo rigo), ha però rigettato la domanda perchè non provata.
In questo modo il giudice d’appello ha violato il principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui “il giudice non può, senza contraddirsi, imputare alla parte di non assolvere all’onere di provare i fatti costitutivi della domanda, e poi negarle la prova offerta” (sono parole di Sez. U, Sentenza n. 789 del 29/03/1963, Rv. 261080; nello stesso senso si vedano anche Sez. 3, Sentenza n. 2631 del 20/10/1964, Rv. 303958, e Sez. 3, Sentenza n. 2505 del 05/10/1964, Rv. 303753; in seguito il principio è stato costantemente ribadito, sino a divenire jus receptum).
4. La sentenza deve dunque essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, la quale:
(a) tornerà a valutare se il danno alla salute patito da B. G. sia stato debitamente allegato nella citazione; tenendo conto del fatto che si trattava di un danno in evoluzione e che l’attore ha l’onere di descrivere il danno, ma non di quantificarlo; .
(b) ove ritenesse, in applicazione dei principi appena ricordati, debitamente allegata l’esistenza del danno, procederà all’accertamento di esso tenendo conto del principio secondo cui la consulenza tecnica d’ufficio, che di norma non è mezzo di prova, lo diventa allorchè la prova del danno – come quello alla salute – sia impossibile od estremamente difficile a fornirsi con i mezzi ordinari.
5. Le spese. .
Le spese del giudizio di legittimità e dei gradi precedenti di merito saranno liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3.
P.Q.M.
la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:
-) accoglie il terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione;
-) rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità e di quelle dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 13 febbraio 2015.
Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2015